Il Fiume Rallegra la Città di Dio
L'ultimo Concilio della Chiesa Cattolica, il Vaticano II, ha affermato con forza la dignità sacerdotale del popolo di Dio e ne ha indicato un'espressione nella sua partecipazione alla celebrazione eucaristica. Il canto dell'assemblea è così diventato uno dei segni più evidenti e raccomandati di tale partecipazione.
Il fatto è che per secoli l'assemblea era sta esclusa dal canto liturgico. Certo, nessuno ha mai proibito alla gente di cantare durante la Messa Cantata; ma lì si poteva cantare solo in latino: i clerici e il coro quindi pensavano a tutto. Si tollerava che il popolo cantasse nella Messa Bassa.
Dopo l'ultimo Concilio l'esortazione "Che il popolo canti" divenne l'imperativo categorico della prassi pastorale. A tutto il repertorio del passato, latino o italiano che fosse, fu dato l'ostracismo. Con zelo, più volenteroso che illuminato, scrittori e musicisti si misero al lavoro per fornire un nuovo repertorio.
Le editrice cattoliche, le Paoline, le Elle Di Ci di Torino - Leumann, la Pro Civitate Christiana, Rugginenti e altre, fecero affari d'oro. Dopo 50 anni ci rendiamo conto che pochi hanno canticchiato quella produzione, che oggi mostra spesso la sua insulsa pochezza.
Pochi anni fa Sandro Magister, in uno dei suoi blog "Settimo Cielo" del giornale La Repubblica, ha raccontato quanto è avvenuto nei primi anni del dopo Concilio nella Comunità dei Camaldolesi di S. Gregorio al Celio in Roma. Avvenne che i giovani monaci si rifiutarono di continuare a celebrare Messe e Uffici Liturgici in latino; così, a suon di chitarre, cominciarono a cantare in italiano. L'abate, per evitare spaccature e danni peggiori, disse: "Allora facciamo tutto e tutti in italiano". Ora quei giovani monaci, come confessarono più tardi, non conoscevano così bene il latino, e tanto meno il greco e l'ebraico dai quali proviene la maggior parte dei testi sacri, da esser capaci di realizzare una buona traduzione in italiano; della musica sapevano quei quattro accordi di chitarra; della metrica e della prosodia non sapevano proprio niente. Tuttavia si misero a tradurre, comporre, prosodiare e pubblicare.
E così si cominciò a fare in tanti luoghi dell'orbe cattolico. I movimenti ecclesiali, come i Focolarini, i Neo Catecumenali, il Rinnovamento nello Spirito, Comunione e Liberazione, i pellegrini di Medjugorie, vennero man mano in soccorso, producendo centinaia di canti propri, con la certezza di aver colmato la lacuna postconciliare e la pretesa di introdurli nella Liturgia, pur senza arrivare alla soluzione escogitata da una ragazza di una cittadina italian, con la benedizione del suo parroco. Ogni settimana la ragazza scrive i testi e la melodia di alcuni canti; e la domenica dopo, accompagnandosi alla chitarra, li esegue durante la S. Messa. Qualcosa del genere faceva J. S. Bach, quando componeva una Cantata per ogni festa dell'anno.
Ma lasciamo da parte il discorso sul merito della bellezza e della validità dei testi e delle melodie. Il problema è che non ancora fissiamo l'obiettivo sulla Liturgia, sulla S. Messa. Continuiamo a considerare la S. Messa come uno spettacolo e l'assemblea come un pubblico da intrattenere. Ci preoccupiamo di rendere lo show il più attraente possibile, di evitare assolutamente la noia. Certo, la S. Messa ha tanti elementi in comune con il teatro: il palcoscenico, gli attori, gli abiti di scena, le luci, la musica. Ma di tutto questo si può fare a meno; e tutto questo non è un valore aggiunto. La S. Messa è Opus Dei per eccellenza. Ivi Gesù Cristo nostro Signore è il sommo ed eterno Sacerdote; è lui l'Attore protagonista; è lui, lui in croce, il palcoscenico, detto altare; è lui la vittima, poiché si tratta di un sacrificio. E' lui il cantore della lode alla SS. Trinità; alla sua voce uniamo le nostre umili voci.
Tutto questo è Azione di Dio, la S. Messa.
Che cosa vi si potrebbe aggiungere? Una grande assemblea? La S. Messa, che per 26 anni ho celebrato da solo in una cappellina di tre metri per due nel convento di S. Salvatore a Gerusalemme, aveva lo stesso valore di una S. Messa celebrata dal Papa insieme a tremila sacerdoti e a un milione di fedeli. La S. Messa, celebrata un lunedì mattina insieme a quattro vecchiette, ha lo stesso valore di una concelebrazione eucaristica nella cattedrale di S. Stefano a Vienna, accompagnata dall'esecuzione della Messa dell'Incoronazione della Beata Vergine Maria di W. A. Mozart, trasmessa in tutto il mondo da cento canali televisivi.
Se un valore aggiunto è lecito dare alla S. Messa, questo è la preghiera intensa, unanime dei presenti. La musica è preziosa in quanto unisce tutti i presenti in una supplica, in una lode corale, appassionata, devotamente unita al coro degli angeli e dei santi, alla voce del solista: il Signore nostro Gesù Cristo. E' questa la Laus Plena da raggiungere.
E' questo il fiume che purifica, feconda la Chiesa e ne fa un nuovo Eden. "Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la Città di Dio, la santa dimora dell'Altissimo" (Salmo 45,5). Questo fiume è sgorgato dal Cuore di Cristo, ferito dalla lancia: ha continuato a scorrere nella Chiesa.
La Liturgia, questo fiume che rallegra l'intera Città di Dio, unisce non soltanto i partecipanti a una S. Messa, ma unisce tutti coloro che a quel fiume si sono dissetati e purificati nei secoli. E' la Comunione dei Santi, e dovrebbe essere espressa anche nel canto. Dovremmo essere felici di intonare una semplice melodia della Chiesa Siriaca: ci ricorderebbe i tempi apostolici, S. Ignazio d'Antiochia condotto a Roma e divorato dalle belve al Colosseo (107); o un canto degli Armeni, il popolo che nel IV secolo si è dichiarato Cristiano e Cristiano è rimasto, nonostante massacri e genocidi ricorrenti; una melodia greca che ci ricordi i Cristiani di Corinto, nella cui lingua abbiamo ricevuto tutto il Nuovo Testamento. Questi sono i ruscelli che rallegrano la Città di Dio, insieme al grande fiume sgorgato dal Cristo.
E come? Abbiamo introdotto tante melodie in inglese, sud americano, in amarico, in ebraico(quell'Evenu shalom alejem che fa fremere di sdegno i Cristiani arabi), e avremo paura di proporre un ritornello nella lingua dei primi martiri?
Ma almeno smettiamola di considerare la S. Messa uno spettacolo di cui ci riteniamo produttori e protagonisti. Non rubiamo la scena a Gesù Cristo, non togliamo la parola ai poveri Cristiani, non iscritti a nessun movimento. Riscopriamo il canto della Chiesa universale e perenne, la Chiesa Orientale e Occidentale, la Chiesa delle nostre origini, la Chiesa delle Catacombe, la Chiesa che prega in cielo e in terra. Non separiamoci dal fiume che rallegra la santa Città di Dio, preferendo starnazzare nelle pozzanghere delle canzonette di moda.
Armando Pierucci
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