Nerone e Costantino

18/01/2016
Costantino

 

18 gennaio 2016

La Lettera agli Ebrei esorta a rinfrancare le mani cadenti e le ginocchia infiacchite. Gli Israeliti, che avevano aderito alla fede cristiana, avevano bisogno di un grande sostegno, per conservare la grazia e, per suo mezzo, rendere  con timore e riverenza un culto  gradito a Dio (Eb 12, 28). Le loro liturgie erano ben differenti da quanto, fino all'anno 70 d.C., continuava ad avvenire in quel Tempio, in cui Salomone aveva adunato migliaia di cantori e musici; dove tuttora squilli di tromba  invitavano  alla preghiera del mattino e della sera.

L'Autore della Lettera, data la povertà di quelle riunioni che diventavano squallide, perché alcuni avevano l'abitudine di disertarle,  conforta così quei Giudei-Cristiani: "Voi vi siete accostati al monte di Sion e alla Città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli" (Eb 12, 22).

Ma lo sguardo non sempre rimane fisso sulle miriadi di angeli, o su Gesù Cristo, autore e perfezionatore della fede. Appena usciti dal Cenacolo di Gerusalemme, dai cimiteri della Bitinia, o dalle Catacombe di Roma, i Cristiani cominciarono a spiegare le ali del canto. Con l'editto di Costantino del 313 a poco a poco in tutto l'impero romano,  che si affacciava sul Mediterraneo, il Cristianesimo divenne la religione ufficiale. Era ben giusto che al Signore Gesù Cristo fosse dato un culto pubblico, che ogni ginocchio si piegasse davanti a lui e ogni lingua lo proclamasse Signore.

Ma presto il culto a Dio si trasformò in liturgia: azione pubblica in cui l'ossequio più che all'Altissimo, andava ai capi delle nazioni, ai grandi che esercitano il potere su di esse. Gesù l'aveva detto: "Non così dovrà essere tra voi". Ma ormai il Cristianesimo era Religione di Stato, e la celebrazione eucaristica diventava una cerimonia istituzionale: architetture e icone, luci e incensi, canti e riti dovevano esprimere più la potenza dei governanti della terra, che l'onnipotenza del Re del cielo. Ovunque le chiese divennero sempre più belle, le icone e i mosaici sempre più splendidi, i canti sempre più elaborati e sonori. Nel culto venivano impegnati i  migliori architetti, pittori,  musici e cantori. Più che la Messa, si voleva  una messa in scena: più che della preghiera ci si preoccupava dello spettacolo. 

E l'assemblea?  Non poteva unirsi a quel canto, che solo dei professionisti altamente dotati potevano intonare. La gente ammirava e taceva.

Certo, non si può incolpare l'imperatore Costantino di  tutto questo. Ma c'è da chiedersi se non sia vero quanto diceva un cardinale del Belgio: "Costantino ha danneggiato la Chiesa più di Nerone".

P. Armando Pierucci

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