L'arte s'è messa da parte

06/02/2016
Michelangelo, Cappella Sistina

Siamo d'accordo sul fatto che la liturgia è un'azione pubblica; e che ciò non vuol dire che  faccia parte del rituale statale, come può esser la parata militare nella festa della Repubblica; o che la musica stia lì per onorare il potere, o glorificare i potenti fatti di terra. La liturgia è un'azione pubblica nel senso che non è privata: riguarda tutta l'assemblea, cioè i ministri sacri, i fedeli e, con un balzo di fede, Gesù Cristo, sommo, eterno e unico  sacerdote, alfa ed omega della Chiesa totale e universale. Egli è l'alfa, perché è il primo: suo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli; per Lui furono create tutte le cose; era morto e ora è vivo, primizia dei risorti. Ogni ginocchio di coloro che abitano in cielo, in terra, nell'aldilà, deve piegarsi davanti a Lui.

Egli è anche l'omega, Colui che si identifica con l'ultimo, il povero, il malato, la vecchietta; Colui che dirà l'ultima parola, dato che verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti.
Una vera celebrazione eucaristica esprimequesta realtà.
Nel corso  dei due millenni cristiani l'arte figurativa e la musica hanno insieme glorificato l'Altissimo, hanno insegnato le verità della fede, hanno svelato l'impenetrabile bellezza del cieli. Ma alla nostra generazione, riconosciamolo, l'arte non parla più. La contemplazione dei capolavori di Giotto, Raffaello, Michelangelo; l'ascolto delle musiche di Palestrina, Bach, Mozart, Beethoven suscitano un sentimento d'infinita ammirazione sul piano estetico. A livello strettamente religioso c'è qualcuno che, pentito  dei suoi peccati,  davanti al Giudizio Universale della Cappella Sistina, o ascoltando il Requiem di Mozart o di Verdi, abbia invocato la misericordia di Dio? L'arte ha divorziato dalla preghiera; è andata a vivere per conto suo nelle sale da concerto, nei musei, nei teatri, nelle pinacoteche.

La liturgia deve rimettersi a pregare, coinvolgendo, più che gli artisti, le persone esperte nella preghiera: esse, i bambini, i malati, le vecchiette,  non hanno mai smesso di pregare. E non vanno azzittiti.
Ricordo un episodio che da ragazzo mi trovò pienamente d'accordo; e ora mi rattrista come una delle tante occasioni perdute. Don Ezio Balestra è stato un parroco  che, nell'ultima guerra mondiale, aiutò, difese, nutrì la gente della sua parrocchia di S. Maria del Piano a Jesi. Tuttora è ricordato con venerazione; Jesi gli ha dedicato una piazza.
Don Ezio aveva l'animo d'artista; una volta si concesse alcuni giorni di raccoglimento a Roma, in una zona vicina alla chiesa di S. Anselmo. A una Messa, "animata" dal canto gregoriano dei Benedettini, portò con sé il Liber Usualis,  per seguire nota per nota il canto levigato e soffice dei monaci. Naturalmente non resisteva alla tentazione di seguire con la voce l'andare dei melismi sulle guglie del tetragramma. Dal coro si staccarono due monaci vestiti di nero e si avvicinarono a Don Ezio: lo pregarono di tacere. Il bisbiglio della sua voce rovinava il canto sacro; era come se alla Scala un ascoltatore del loggione si mettesse a canticchiare con il tenore "Parigi, o cara, noi rivedremo". Cantavano i monaci; i presenti dovevano soltanto udire  e tacere; lo dice anche Don Basilio, prima di cantare La Calunnia ne Il Barbiere di Siviglia: "Udite e tacete".
Ma ci rendiamo conto a che punto  eravamo arrivati? E' lo stesso punto in cui ci  troviamo oggi. Certo, adesso l'assemblea è invitata a cantare, ma di fatto sta zitta: è stata obbligata a tacere per 1700 anni, e ora non sa cantare, è intimidita; gli si propongono dei canti che non ha cantato mai, dei canti senza radice, senza storia; canti che ogni settimana sono nuovi. Del resto c'è sempre qualcuno che canta per tutti: s'impadronisce del microfono, va all'ambone; così  l'assemblea può continuare a pregare per conto suo a bassa voce. La preghiera ad alta voce  è ancora riservata a  quelli del coro, a quelli della chitarra e del tamburello. Ma è preghiera questa?  Si dice sempre che chi canta prega due volte. In realtà non prega neanche una volta: infatti deve pensare a eseguire bene la sua parte, a seguire la battuta del direttore, a fare bella figura con la sua voce e gli accordi del suo strumento.
E' tempo di mettersi a pregare tutti insieme, a bassa e alta voce; personalmente, e non per interposta persona. Bisogna ritrovare quelle melodie, semplici e solenni, che tutti i Cristiani intonavano unanimi nelle Catacombe, nelle prigioni in attesa del martirio, nei cimiteri dove si nascondevano, lontano dagli spioni, per non essere denunziati a Plinio il Giovane.
In questi luoghi la liturgia era un'azione pubblica, la preghiera era unanime, la lode plena. E l'arte era da un'altra parte.

P. Armando Pierucci

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