Il Card. Domenico Bartolucci (7.5.1917 - 11.11.2013) con la sua vivacità toscana amava ricordare l'incontro casuale, avuto con Paolo VI al termine di una solenne celebrazione pontificia. Quel giorno la Cappella Sistina, in via ormai eccezionale, aveva eseguito la Missa Papae Marcelli di Palestrina. Andando per la sua strada, il Maestro incrociò il S. Padre, che stava aspettando l'ascensore per ritirarsi nei suoi privati appartamenti. Il Papa non mancò di esprimere al Maestro le più felici congratulazioni per l'esecuzione, meravigliosa al pari della musica del Prenestino. "Come sarebbe bello", aggiunse il S. Padre che aveva a cuore la gloriosa musica sacra della Scuola Romana, ma non aveva meno a cuore quanto aveva promosso il Concilio Vaticano, da lui concluso pochi anni prima; "come sarebbe bello se oggi i musicisti componessero della musica sacra, ispirata come la grande musica del passato, ma includendo la partecipazione dell'assemblea!". Mons. Bartolucci ebbe uno scatto, abituale nei musicisti, ma per niente riguardoso. Fosse dipeso dal Pontefice allora regnante, non avrebbe certo potuto cambiare il suo Mons. con il Card. con cui più tardi, il 20 novembre 2010, lo onorò Benedetto XVI. "E come inserire un'assemblea, che non risponde neanche Amen, nel tessuto polifonico di sei voci, che solo dei cori professionisti possono eseguire? Quei cori che avete cacciato dalle chiese, per far posto alle canzonette..." Il Maestro avrebbe continuato, ma l'ascensore aprì pietosamente la porta in soccorso del S. Padre.
Devo confessare che, fino a pochi anni fa, ero d'accordo con il Card. Bartolucci. Negli anni '60 del secolo scorso era stato il mio insegnante di Direzione Corale e delle Forme Polifoniche: mi aveva innamorato di Palestrina e della Scuola Romana. Quando seppe che, preso il diploma in Canto Gregoriano, non avrei continuato a studiare al Pontificio Istituto di Musica Sacra, ma al Conservatorio di Napoli, mi disse: "Peccato! Mi avevano parlato bene di lei". Ora, a distanza di 50 anni, sono d'accordo con Paolo VI, e non solo perché l'hanno proclamato Beato, cosa che non so se succederà al M° Bartolucci. Oggi in Occidente la musica sacra liturgica ha bisogno di una rigenerazione. Come ho scritto in un blog precedente, riferendomi al mito di Anteo, la rigenerazione avviene rimettendo i piedi per terra, tornando al popolo. Quando Lutero ha rimesso il canto sacro in bocca al popolo, si è avuta la grande fioritura della musica sacra che ha in J. S. Bach il suo vertice prodigioso.
Quando dico "popolo", intendo dire tutto il popolo: piccoli e adulti, giovani e vecchi, che cantano a voce piena la lode del Signore con melodie che tutti possono agevolmente cantare. Al momento attuale non credo che esista in Occidente, ad esclusione forse della Germania e dell'Austria, un'assemblea che inneggi al Signore con quella Laus Plena, che è la meta ideale della nostra Fondazione. "Bene. Visto che l'assemblea non è in grado di cantare, accontentiamoci del coretto parrocchiale, o del solista che va al microfono e canta per tutti": questa è la soluzione adottata da secoli e ha trasformato le nostre liturgie in veglie funebri o in balere danzanti, nell'ultima spiaggia del cantautore fallito, o nella pista di lancio del soprano di grandi speranze.
Quando stavo a Gerusalemme, il Coro Magnificat della Custodia di Terra Santa aveva il dovere di cantare in alcune solennità dell'anno. La buona gente della parrocchia, quando vedeva arrivare i coristi, si allarmava e brontolava: "Oggi non ci lasceranno cantare". E aveva ragione di lamentarsi: toglierle la possibilità di cantare, era come impedirle di pregare. Cantare non è un modo di pregare? E chi mai può arrogarsi il diritto di sostituirsi ad altri nella preghiera? Allora a Gerusalemme adottammo la soluzione di armonizzare gli inni e far cantare insieme popolo e coro. Ma non funzionava molto; il popolo si perdeva facilmente nell'intreccio polifonico delle voci, e azzittiva.
Meglio di noi ha fatto il coro della cattedrale di Mosca: i coristi si sono sparsi per le panche della chiesa e cantavano a una sola voce gli inni sacri, scelti tra i più semplici del repertorio tradizionale. La più bella Messa della mia vita l'ho ascoltata là, nella cattedrale dell'Immacolata di Mosca.
E questa è la soluzione che propongo ai cori delle chiese: facciano un atto di umiltà e di coraggio; i coristi si spargano per la chiesa, uno per ogni panca; e cantino a una sola voce insieme al popolo. E' una cura che deve durare per un'intera generazione: almeno 25 anni. Quando l'assemblea sarà in grado di cantare "voce plena", il coro potrà aggiungere le sue armonie e i suoi contrappunti: sarà l'inizio di una nuova stagione della musica sacra e si potrà avverare l'auspicio del B. Paolo VI.
"Come sarebbe bello se oggi i musicisti componessero della musica sacra, ispirata come la grande musica del passato, ma includendo la partecipazione dell'assemblea!" .
Armando Pierucci
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