
Gli antichi Greci erano particolarmente abili nell'inventare dei racconti, per insegnare qualcosa di importante. C'è, per esempio, il mito dei due giganti Ercole e Anteo. Ercole, dio per parte di madre, Era (Giunone), era considerato invincibile nella sua forza; Anteo (fiore), il gigante figlio di Poseidone e Gea (terra), era anch'egli un semidio. I due si sfidarono alla lotta. Ercole era il più forte, ma Anteo resisteva potentemente e, quando stava per soccombere, si gettava in terra e dalla madre terra riprendeva tutto il suo vigore. Ercole se ne accorse e, sollevato Anteo da terra, lo strinse nella morsa delle sue braccia e lo soffocò.
Nel momento attuale molte realtà spirituali stanno soffocando, ma parliamo di Musica Sacra. Il B. Paolo VI diceva che la fede cristiana non attecchisce profondamente in un popolo finché non abbia prodotto dei capolavori d'arte; e si riferiva alle arti figurative, come pure alla musica e alla letteratura. Io aggiungo che anche la gastronomia è un segno della penetrazione del Credo nel cuore dei fedeli, anche se, in questo argomento, sarebbe più giusto dire: nello stomaco dei fedeli. In ogni Paese e Regione, infatti, il ricettario dei tempi liturgici, soprattutto del Natale e della Pasqua, è più ricco di un messale.
Purtroppo le ricette tradizionali non bastano più a nutrire la fede; e neanche i capolavori, accumulati in due millenni, sono capaci non dico di persuadere all'adesione cristiana, ma neanche di impedire di orinare sui muri del duomo di Milano, o di Firenze, o della basilica di San Marco a Venezia.
E per la Musica Sacra?
Certo, gli spartiti della polifonia rinascimentale e barocca, di Monteverdi, Bach, Haydn, Mozart, Beethoven, Vivaldi, Rossini, Verdi cantano potentemente allo spirito umano, ma sono muti nel parlare di fede, incapaci di annunziare il Vangelo a questa generazione. Sono sempre qualcosa di meglio che non lo squallore musicale che a volte avvilisce l'interno delle chiese, quanto gli orinanti ne avviliscono l'esterno. L'albero della Musica Sacra ha dato fiori e frutti meravigliosi: ha espresso e insegnato la fede cristiana. Ora, bello in se stesso, non ricorda più né la Liturgia né la Bibbia. Ha dimenticato il tempo della sua infanzia quando, su semplici corde di recita, cantava le sublimi parole, tramandate dall'apostolo Paolo:
"Cristo Gesù, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio,
ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini" (Fil 2, 6 ss).
Allora la Chiesa era unita e la musica ne rispecchiava l'unità. La melopea, che s'intonava a Gerusalemme, non era tanto diversa da quella che si cantava a Roma, Atene, Antiochia, Alessandria. Poi le influenze esterne lusingarono i compositori, le belle voci ammaliarono i presenti, così i fedeli delegarono il canto, i professionisti e i chierici se ne appropriarono, e la Liturgia divenne sempre più sala da concerto, ospitando la domenca mattina quanto s'era eseguito sabato sera al teatro comunale. Nelle grandi chiese si cominciarono a costruire quelle cripte che all'inizio ricordavano le Catacombe e il martirio dei primi cristiani; poi servivano al seppellimento del vescovo o dell'abate fondatore e al ricordo delle loro virtù; ed ora erano luoghi in cui celebrare la Messa bassa per la servitù, mentre tra le architetture funamboliche della basilica venivano eseguite, magari a ocketus (singhiozzo), le interminabili polifonie per la gente della nobiltà, del potere, del denaro: la gente che si deliziava ad ascoltare, e non apriva né la bocca né il cuore alla preghiera. La Musica Sacra aveva dimenticato il tempo della sua giovinezza, quando era felice di essere l'ancella della liturgia.
Ora ne era diventata padrona: cantava per i ricchi, i potenti, mentre l'assemblea dei poveri, dei servi, si riuniva frettolosamente nella cripta, pregando silenziosamente nel cuore.
La Musica Sacra era diventata padrona: era giunto il momento che se ne andasse per la sua strada: le sale da concerto. E vi è andata spontaneamente.
E' giunto dunque il momento che anche le canzonette e tutta la musica adatta a far da sfondo ai centri commerciali per favorire la vendita, all'intrattenimento per creare un'atmosfera festosa o divertire la gente, venga cacciata dal tempio, prima che Anteo soffochi.
Anteo deve gettarsi a terra: la Musica Sacra deve tornare al popolo, quello più umile, quello delle cripte, quello che va in chiesa per pregare; deve intonare la sublime Parola della S. Scrittura sulle semplici melodie degli inizi, di cui parla S. Paolo: "La Parola di Cristo dimori fra voi abbondantemente..., cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali" (Col 3, 16).
Cantare un testo su una melodia salmodica, spesso mutuata dal canto ebraico, tutti possono: "Ognuno può avere un salmo" (1Cor 14,26). E quando si dice tutti, ci si riferisce ai privilegiati, agli esperti della preghiera: i bambini e gli anziani.
Un inno, semplice come Noi canteremo gloria a Te, tutti possono cantarlo.
E coloro che pregano con il cuore, possono abbandonarsi anche all'onda dei cantici spirituali: improvvisazioni carismatiche, suggerite dallo Spirito durante assemblee liturgiche (cfr La Bibbia di Gerusalemme).
Nella Musica Sacra degli inizi noi incontreremo il canto delle Chiese Orientali e di tutte le Chiese: anche i Protestanti sono felici di riconoscerlo, e ne hanno nostalgia; perché tutti di là siamo nati.
Ebbene, prima che Ercole ci soffochi, torniamo là dove siamo nati.
P. Armando Pierucci
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