INAUGURAZIONE DELLE ATTIVITA' DELLA FONDAZIONE LAUS PLENA
LUGANO, 4 SETTEMBRE 2015 -CHIESA DI S. MARIA DEGLI ANGIOLI
L'espressione musicale degli Inni della Divina Liturgia: un approccio storico e melopoetico
Dimitrios K. Balageorgos
Professore Associato di Musicologia Bizantina, Facoltà di Studi Musicali, Università di Atene
Introduzione
Prima di tutto vorrei esprimere il mio più caloroso ringraziamento alla Fondazione «Laus Plena» e agli organizzatori di questo eccezionale incontro spirituale e musicale, per avermi invitato con i cantori del coro «Trikkis Melodoi». Spero di portare un contributo positivo al dialogo tra i vari tipi di musica sacra, così da arricchirne la conoscenza.
Nella terminologia ecclesiastica, Liturgia significa un raduno di fedeli. Anche il termine Ecclesia (Chiesa), secondo la formulazione del Vangelo «οὗ ... εἰσὶ δύο ἢ τρεῖς συνηγμένοι εἰς τὸ ἐμὸν ὄνομα, ἐκεῖ εἰμι ἐν μέσῳ αὐτῶν» (... dove sono due o tre persone riunite nel mio nome, io sono in mezzo a loro), viene interpretato come «assemblea», «gruppo» o «corpo». Il centro dell'assemblea ecclesiastica, il cuore della preghiera collettiva, è la Santa Eucaristia. Anche se vi sono varie liturgie eucaristiche (come quella di Giacomo fratello del Signore, dell'evangelista Marco, o di San Gregorio il Teologo), la Santa Eucaristia conserva sostanzialmente l'ordinamento che proviene dall'età apostolica, da quanto ha compiuto lo stesso Gesù nell'Ultima Cena.
La Divina Liturgia è composta da preghiere, letture, inni e gesti rituali, cioè da vari movimenti sacrali e azioni che esprimono i vari momenti religiosi della psiche umana. Le preghiere sono recitate, i testi vengono proclamati, gl'inni sono cantati. Gl'inni sono stati composti per essere cantati: questo è il motivo per cui la nostra musica ecclesiastica è antica, come lo é l'innografia. La Chiesa considera il canto come espressione fondamentale del culto cristiano e arricchisce la Divina Liturgia con una varietà impressionante di inni. Ogni genere poetico ha la sua corretta organizzazione musicale, le sue proprie regole, sempre nel rispetto della tradizione salmodica e dei recitativi tuttora in uso.
Cari amici, il tema di questa mia comunicazione riguarda i due pilastri della Musica Sacra: tradizione e innovazione. I contenuti, il pensiero, le strutture fondamentali e le espressioni liturgiche sono conservate immutate fin dall'antichità cristiana nella Divina Liturgia. E' vero che il primo periodo creativo ha subito nei secoli rinnovamenti e modifiche, ma le novità sono rimaste fedeli al pensiero e allo stile dell'antico modo di comporre. Il nucleo perciò è rimasto inalterato. San Basilio il Grande, nel suo Trattato sullo Spirito Santo, solleva domande e da delle risposte sull'origine e la conservazione della tradizione: «τὰ τῆς ἐπικλήσεως ρήματα ἐπὶ τῇ ἀναδείξει τῆς εὐχαριστίας καὶ τοῦ ποτηρίου τῆς εὐλογίας, τίς τῶν Ἁγίων ἐγγράφως ἡμῖν καταλέλοιπεν; ... οὐκ ἀπὸ τῆς σιωπωμένης καὶ μυστικῆς παραδόσεως; » (le parole della benedizione del calice, trasmesse dal Santo nella Divina Eucaristia, non sono forse conservate nella nostra propria tradizione?). La conservazione della forma originale della Divina Liturgia è sottolineata anche da un eminente autore di commenti liturgici, Simeone di Tessalonica (15° secolo): «Ἰστέον οὖν, ὅτι ἡ τῆς λειτουργίας ἀκολουθία μόνη ὑπολέλειπται κατὰ τὴν ἀρχαίαν γίνεσθαι τάξιν» (Si deve sapere che l'unica cosa che rispetta ancora l'antico ordinamento è la Sacra Liturgia).
D'altra parte, nel campo della Musica Sacra, i modelli stabiliti in epoca bizantina sono stati costantemente punti di riferimento nella produzione musicale nel suo insieme. Ciò ha permesso il mantenimento dell'unità nell'identità e la coerenza nella tradizione, che si è evoluta nei secoli, accogliendo tendenze e differenziazioni di forma e di stile.
Per essere più chiaro, vorrei citare, dalla storia dell'arte salmodica, due esempi molto eloquenti di rispetto della tradizione musicale; sono riferiti da Manuel Chrysaphes, luminare ed eccellente teorico della musica bizantina. Autore di trattati sull'arte del canto, egli parla di due grandi Maestri del passato: John Koukouzelis e John Kladas: «Τῶν οἴκων δέ γε πρῶτος ποιητὴς ὁ Ἀνεώτης ὑπῆρξε καὶ δεύτερος ὁ Γλυκύς, τὸν Ἀνεώτην μιμούμενος...καὶ μετὰ πάντας αὐτοὺς ὁ χαριτώνυμος Κουκουζέλης, ὃς εἰ καὶ μέγας τῷ ὄντι διδάσκαλος ἦν καὶ οὐδενὶ τῶν πρὸ αὐτοῦ παραχωρεῖν εἶχε τῆς ἐπιστήμης, εἵπετο δ’ οὖν ὅμως κατ’ ἴχνος αὐτοῖς καὶ οὐδέν τι τῶν ἐκείνοις δοξάντων καὶ δοκιμασθέντων καλῶς δεῖν ᾤετο καινοτομεῖν, διὸ οὐδὲ ἐκαινοτόμει. Ὁ δὲ λαμπαδάριος Ἰωάννης τούτων ὕστερος ὢν καὶ κατ’ οὐδὲν ἐλαττούμενος τῶν προτέρων, καὶ αὐταῖς λέξεσι γράφων ἰδίᾳ χειρί, ἔφη· Ἀκάθιστος ποιηθεῖσα παρ’ ἐμοῦ Ἰωάννου λαμπαδαρίου τοῦ Κλαδᾶ, μιμουμένη κατὰ τὸ δυνατὸν τὴν παλαιὰν ἀκάθιστον καὶ οὐκ ᾐσχύνετο γράφων οὕτως, εἰ μὴ μᾶλλον καὶ ἐσεμνύνετο...»[1] (Il primo compositore degli inni (oikoi) è stato Aneotes, subito seguito da Glykys, che lo imitò; .... e dopo tutti quegli antichi è arrivata la grazia nel nome di Koukouzelis che, a dispetto che fosse un grande maestro, seguì i suoi predecessori in modo accurato, passo dopo passo (...), senza mai innovare.
Per quanto riguarda John Kladas, posteriore ai precedenti compositori, (...) egli li imita nel musicare l'Akathistos, e non teme di riconoscerlo nei suoi scritti; al contrario, ne è molto fiero ....).
Il seguente esempio dice che la più alta virtù nell'arte della Musica Sacra è l'imitazione dei compositori precedenti e la cura dell'unità attraverso la tradizione:«ἔνθεντοι κἂν τοῖς καλοφωνικοῖς στιχηροῖς οἱ τούτων ποιηταὶ τῶν κατὰ τὰ ἰδιόμελα μελῶν οὐκ ἀπολείπονται, ἀλλὰ κατ’ ἴχνος ἀκριβῶς ἀκολουθοῦσιν αὐτοῖς καὶ αὐτοῖς μέμνηνται. Ὡς γοῦν ἐν μέλεσι διὰ μαρτυρίας καὶ τῶν ἐκεῖσε κειμένων μελῶν ἔνια παραμβάνουσιν ἀπαραλλάκτως, καθάπερ δὴ καὶ ἐν τῷ στιχηραρίῳ ἔκκειντο, καὶ τὸν ἐκεῖσε πάντες δρόμον παρ’ ὅλον τὸ ποίημα τρέχουσιν ἀμετατρέπει, καὶ τῷ πρωτέρῳ τε τῶν ποιητῶν ἀεὶ ὁ δεύτερος ἕπεται καὶ τοῦτο ὁ μετ’ αὐτόν, καὶ πάντες ἁπλῶς ἔχονται τῆς τέχνης ὁδοῦ»[2]. (Così anche nella Stichera Kalophonica i compositori non partono dalle loro melodie originali (idiomela), ma li seguono con precisione, passo dopo passo, e li conservano. Così le antiche melodie rimangono in evidenza, la musica conserva la tradizione, come è detto nello Sticherarion: seguire il percorso inalterato della composizione. Il nuovo compositore segue il suo predecessore; un altro seguirà lui: così ognuno apprende e trasmette la tecnica dell'arte).
L'azione liturgica della Chiesa e la sua musica sono state trasmesse a noi in una continuità ininterrotta, in cui le generazioni successive sono collegate tra loro dalla catena della tradizione. Liturgia e musica si sono evolute insieme nel tempo, conservando quegli elementi che avevano il potenziale di sopravvivere nei secoli. I Padri della Chiesa, i Cantori e i Maestri, hanno mantenuto ciò che hanno trovato, e lo hanno arricchito con le proprie creazioni.
La struttura della Divina Liturgia e dei suoi Inni
Canto Antifonico
La Divina Liturgia è costituita da due parti principali. La prima parte, chiamata Liturgia della Parola, comprende preghiere, salmi, letture bibliche e il discorso; mentre la seconda, la Liturgia del Mistero, è centrata sulla celebrazione dell'Eucaristia, in cui gli elementi dominanti sono preghiere eucaristiche, il dialogo tra il sacerdote officiante e il popolo (rappresentato dal coro di cantori) e il canto dei due maggiori inni eucaristici, cioè il Cherubikon e il Koinonikon (Inno di Comunione).
Esaminando gli elementi costitutivi del Divina Liturgia si conclude che la sua struttura è definita da tre tipi fondamentali di testi: preghiere, inni e letture.
Le preghiere, seguendo le istruzioni liturgiche, vengono lette in silenzio o a bassa voce; la loro parte finale è cantata.
Gl'inni costituiscono la parte cantata della Divina Liturgia, con la musica e la melodia.
Le Letture, testi scritturistici, vengono proclamate in modo più solenne e con una espressione musicale più enfatica.
Questi tre modi di espressione erano conosciuti fin dall'antichità classica, essendo stati definiti già dal teorico Aristide Quintiliano:«τῆς δὲ φωνῆς ἡ μὲν ἁπλῆ πέφυκεν, ἡ δὲ οὐχ ἁπλῆ̇ καὶ ταύτης ἡ μὲν συνεχής, ἡ δὲ διαστηματική, ἡ δὲ μέση. Συνεχὴς μὲν οὖν ἔστι φωνὴ ἡ τάς τε ἀνέσεις καὶ τὰς ἐπιτάσεις λεληθότως διά τε τάχους ποιουμένη, διαστηματικὴ δὲ ἡ τὰς μὲν τάσεις φανερὰς ἔχουσα, τὰ δὲ τούτων μέτρα λεληθότα, μέση δὲ ἡ ἐξ ἀμφοῖν συγκειμένη. Ἡ μὲν οὖν συνεχής ἐστιν ᾗ διαλεγόμεθα, μέση δὲ ᾗ τὰς τῶν ποιημάτων ἀναγνώσεις ποιούμεθα, διαστηματικὴ δὲ ἡ κατὰ μέσον τῶν ἁπλῶν φωνῶν ποσὰ ποιουμένη διαστήματα, καὶ μονάς, ἥτις καὶ μελωδικὴ καλεῖται»[3]. La voce si distingue per sua natura in semplice e impostata. Di quest'ultima ci sono tre tipi: Continua, Sonora e Intermedia.
La voce Continua si muove rapidamente in uno spazio, senza una chiara distinzione fra tensioni e rilassamenti.
La voce Sonora si muove in intervalli distinti, ma senza misure chiaramente definite.
La voce Intermedia è una combinazione delle due precedenti.
Allora la voce Continua è quello che usiamo nella conversazione; La voce Intermedia è usata nella recitazione drammatica, poetica; e, infine, la voce Sonora si ferma a intervalli distinti, ed è chiamata anche melodia, o unità melodica.
Detto questo, osserviamo che il Cristianesimo, poco dopo la sua comparsa, ha utilizzato non solo la lingua greca, ma anche la musica greca, sviluppandone, col passare del tempo, gli elementi sulla base dei Prinicipi teorici musicali degli antichi greci.
Fra i tre tipi di testi che costituiscono la Divina Liturgia, vi è una netta predominanza di letture e testi recitati in confronto a quelli cantati. In altre parole, non c'è molta musica nella Divina Liturgia; la maggior parte della musica si trova nella Liturgia della Parola. Questo predominio musicale nella prima parte della Divina Liturgia, in confronto alla seconda, si spiega con il fatto che nella prima vi è una serie di testi che richiedono un'adeguata raffinatezza nel canto: salmi, tropari, kontakion, Canon (per il canto delle Beatitudini), inni.
Per essere più precisi, le parti cantate sono le seguenti:
1. Le tre antifone, vale a dire tre salmi (91, 92 e 94) che vanno cantati con ritornelli (ephymnia); l'antico inno Ὁ μονογενὴς Υἱὸς (Il Figlio Unigenito) in aggiunta alla fine della seconda antifona; il tropario e il kontakion del giorno al Δόξα Πατρί ... Καὶ νῦν καὶ ἀεί ... (Gloria al Padre ... E ora e per sempre ...) della terza antifona; o, invece di questi, i salmi del Tipicon (102 e 145 ) e i tropari del canone quotidiano, recitato insieme alle Beatitudini (Matteo 5. 3-12);
2. Il Tre Volte Santo (Trisagion), inno inizialmente cantato come ritornello-ephymnion per il salmo 79 °).
3. Prokeimenon, cantico introduttivo alla lettura dell'Apostolo (Salmo), e
4. I versi prokeimenon-alleluia fissi, prima della proclamazione del Vangelo (Salmo).
La caratteristica comune dei testi sopracitati è il modo di cantarli, che è antifonico; è proprio questo il motivo per cui i tre salmi della liturgia della Parola sono stati chiamati «antifone». Il termine «antifona» indica il modo di recitare un testo, e poiché in questo caso si tratta di poesia, il termine si applica anche alla espressione musicale della poesia, semplice o melismatica. Le Antifone richiedono almeno due cantori o due cori, che cantano in modo responsoriale. Il Canto Antifonico è testimoniato nell'Antico Testamento: è il modo con cui gli angeli glorificano Dio. Il profeta Isaia lo descrive nella sua famosa visione: «εἶδον τὸν Κύριον καθήμενον ἐπὶ θρόνου ὑψηλοῦ καὶ ἐπῃρμένου ... καὶ Σεραφὶμ εἱστήκεισαν κύκλῳ αὐτοῦ ... καὶ ἐκέκραγεν ἕτερος πρὸς ἕτερον καὶ ἔλεγον̇ ἅγιος, ἅγιος, ἅγιος κύριος σαβαώθ ... » (Ho visto il Signore seduto su un trono alto ed elevato ... e sopra lui stavano dei serafini in cerchio ... e uno gridava all'altro e diceva: Santo, Santo, Santo è il Signore ...).
E' certo che il canto antifonico è stato impiegato molto presto dalle prime comunità cristiane, per lodare Dio. Su questo ci sono alcune testimonianze abbastanza convincenti. Ignazio di Antiochia (circa 110 d.C.) scrive: «ὀπτασίαν εἶδεν ἀγγέλων διὰ τῶν ἀντιφώνων ὕμνων τὴν Ἁγίαν Τριάδα ὑμνούντων καὶ τὸν τρόπον τοῦ ὁράματος τῇ ἐν Ἀντιοχείᾳ Ἐκκλησίᾳ παρέδωκεν. Ὅθεν καὶ ἐν πάσαις ταῖς ἐκκλησίαις αὕτη ἡ παράδοσις διεδόθη.» (Vide degli angeli che lodano la Santissima Trinità con inni antifonici; essi hanno trasmesso questa modalità di canto alla Chiesa di Antiochia, da dove questa tradizione si è diffusa in tutte le Chiese). Anche il governatore romano della Bitinia, Plinio il Giovane, ne scrive in una lettera all'imperatore Traiano (112 d.C).
In seguito, nei secoli 4° e 5°, le testimonianze sul canto antifonico diventano sempre più frequenti, testimoniandone la diffusione nel mondo cristiano.
Nella seconda parte della Divina Liturgia, la Liturgia del Mistero, che è sacrificale ed eucaristica, vi sono due inni, rispettivamente all'inizio e alla fine di essa: l'inno dei Cherubini, che apre l'intero momento liturgico, e quello della Comunione (Koinonikon, di solito con un verso salmodico), che viene cantato al culmine del rito eucaristico. Il testo poetico-salmodico di questi inni è breve, ma il loro sviluppo è più esteso e ricco nel trattamento melodico.
I canti della Divina Liturgia e la loro classificazione generale
La Chiesa considera il canto elemento essenziale del culto, perciò accoglie una grande varietà di inni nella pratica liturgica. Nel culto cristiano presto, prima che l'innografia raggiungesse un livello artistico, furono usati i salmi e i cantici biblici. Nel 4 ° e 5 ° secolo si cominciò a coniugare elementi preesistenti con le forme musicali utlizzate; ciò ha portato alla nascita della innografia cristiana bizantina, con i suoi generi principali, vale a dire i Tropari Stichera (idiomela e prosomoia), il Kontakion e il Canone. Ognuno di questi importanti generi poetici cristiani, insieme con la salmodia di Davide, ha richiesto un proprio trattamento melodico, consistente in un particolare modo musicale e in una specifica fisionomia melodica. Le diverse regole di composizione musicale di ognuno dei generi poetici, di cui sopra, hanno fornito il criterio per la loro classificazione in tre generi di composizione musicale sacra:
Papadico (composizioni basate sui testi poetici dei salmi e la kontakia),
Sticherarico (Stichera idiomela , tropari e doxastika) e
Heirmologico (heirmoi delle 9 odi dei canoni e modelli melodici, i cosiddetti automela tropari).
I suddetti canti della Divina Liturgia appartengono al genere compositivo Papadico. Essi comprendono una varietà di impiego musicale dei Salmi di David (Antifone, Trisaghion, versi Alleluiatici, Prokeimenon, Canti di Comunione / Koinonikon). Questo genere comprende anche il kontakion, anche se ha una sua particolarità. Secondo la prassi melodica bizantina, il kontakion mantiene l'impiego musicale più esteso, artistico e sofisticato, con ripetizioni di parole e interpolazioni di vocalizzi. Questi elementi costituiscono una vasta composizione che appartiene al melos papadico kalophonico. Questo è il motivo per cui il kontakion ha una sua propria raffinatezza melodica e non è stato considerato come un genere musicale separato. Naturalmente nel corso degli ultimi secoli, il melos dei kontakia è breve e, dal momento che la maggior parte dei kontakia-prooimia sono automela, sono stati inclusi unitariamente nel libro musicale Heirmologion.
Lo schema liturgico comprende anche i tropari introduttivi (eisodika), gli apolytikia (inni di congedo) del giorno, entrambi automela e prosomoia, che appartengono al genere heirmologico.
A questo genere va aggiunta un'altra parte musicale della Divina Liturgia, le Beatitudini. Ogni volta che le antifone sono sostituite dai salmi delle Tipiche e le Beatitudini, queste ultime sono accompagnate da tropari speciali o da tropari di 3° e 6° modo del canone dei santi del giorno, che per definizione appartengono al genere di cui sopra.
I vari generi salmodici, compresi quelli della Divina Liturgia, non sono trattati musicalmente in modo uniforme. Questo è chiaramente sottolineato dal famoso compositore e teorico musicale Manuel Chrysaphes: «Μὴ τοίνυν νόμιζε ἁπλῆν εἶναι τὴν τῆς ψαλτικῆς μεταχείρησιν, ἀλλὰ ποικίλην τε καὶ πολυσχιδῆ καὶ πολύ τι διαφέρειν ἀλλήλων γίνωσκε τὰ στιχηρὰ καὶ τὰ κρατήματα καὶ τὰ κατανυκτικὰ καὶ τὰ μεγαλυνάρια καὶ οἱ οἶκοι κατὰ τὰς μεταχειρίσεις αὐτῶν καὶ τὰ λοιπά, περὶ ἃ ἡ τέχνη καταγίνεται ... » (Non si deve pensare che l'impiego dell'arte salmodica sia semplice; è complesso e multiforme. Occorre anche sapere che lo Stichera, il Kratemata, le Katanyktika, il Megalynaria, l'Oikoi e tutte le altre espressioni di questa arte differiscono notevolmente tra loro per quanto riguarda il modo e la maniera di usarli). Infatti l'arte salmodica ha sviluppato un'espressione melodica multiforme per tutti i tipi di canti e ha stabilito con notevole precisione le regole e il materiale di ogni genere di messa in musica. Abbiamo così ricevuto molti modi di comporre ogni genere Melic: lento, veloce, lento-veloce, kalophonico, abbreviato, ecclesiastico, ecc. Questi termini denotano particolari elementi melodici che costituiscono una lenta o una breve composizione in confronto a un altra dello stesso genere. La differenza tra le modalità di composizione suddette risiede negli elementi melodici in uso, nel materiale musicale che è miscelato per produrre sia una breve composizione con un limitato sviluppo melodico, che una composizione lenta, che abbia grandi intervalli e un notevole sviluppo del testo poetico-salmodico.
La multiforme varietà all'interno dei vari generi salmodici, attraverso la lunga storia dell'arte del canto, è dovuta a ragioni pratiche liturgiche, ma anche a una serie di fatti e condizioni storiche che hanno influenzato, sia in modo positivo che negativo, l'esecuzione nel culto pubblico. Ma c'è anche un'altra dimensione legata alla esigenza di varietà musicale all'interno dei generi salmodici. Cantare con arte ha una funzione specifica nel culto ecclesiastico: è lo strumento vivo, la voce, che fornisce un senso all'atto liturgico, favorendo la comprensione dei testi innographici. Il canto costituisce una parte indissociabile del culto stesso e contribuisce in modo decisivo alla trasmissione della conoscenza religiosa. Attraverso il canto il culto si esprime nel miglior modo possibile e non si limita ad una esecuzione meccanica di gesti liturgici. L'alternanza tra i ritmi lenti e veloci nel canto, le variazioni ritmiche e la varietà di generi rompono la monotonia musicale, permettono di creare una «atmosfera» liturgica e di mantenere vivo l'interesse dei fedeli per tutta la durata della Divina Liturgia. Questo è esattamente il punto sollevato dal teologo eminente del 4° secolo, San Basilio il Grande: «ἐν μὲν γὰρ τῇ ὁμαλότητι πολλάκις που καὶ ἀκηδιᾷ ἡ ψυχὴ καὶ ἀπομετεωρίζεται • ἐν δὲ τῇ ἐναλλαγῇ καὶ τῷ ποικίλῳ τῆς ψαλμῳδίας καὶ τοῦ περὶ ἑκάστης ὥρας λόγου, νεαροποιεῖται αὐτῆς ἡ ἐπιθυμία καὶ ἀνακαινίζεται τὸ νηφάλιον » (Spesso il canto monotono fa sì che l'anima perda il suo interesse e si distragga; al contrario, l'alternanza e la varietà del canto mantengono vivo il desiderio e rinnovano l'attenzione).
I canti della Divina Liturgia: un approccio tipico liturgico e musicologico
La Divina Liturgia, in quanto percorso del culto mistico, contiene una ricca varietà di testi di preghiera. Questi testi, che costituiscono la sua parte più essenziale, sono di fondamentale importanza per il raggiungimento dello scopo rituale e religioso. Ciò si spiega con il fatto che la Divina Liturgia è un insieme di petizioni e riferimenti a Dio, che si esprimono con chiarezza e precisione attraverso le formule delle preghiere. Gl'inni liturgici cantati sono, d'altra parte, piuttosto rari, e il loro uso nella Divina Liturgia si è imposto nel tempo. La tradizione manoscritta ha conservato solo quattro canti liturgici, che sono ininterrottamente inseriti dall'inizio del 14 ° secolo. Questi sono i seguenti:
1. il Trisaghion (l'inno del Tre Volte Santo) e gli inni che l'hanno rimpiazzato nelle feste del Signore (Ὅσοι εἰς Χριστὸν ἐβαπτίσθητε ... e Τὸν Σταυρόν σου προσκυνοῦμεν, Δέσποτα ...); anche adesso la tradizione di solito conserva la melodia del canto aggiunto, secondo la vecchia terminologia parrocchiale, la cosiddetta Δύναμις (Energia).
2. i Prokeimena (inni introduttivi) della Lettura, soprattutto i versi alleluiatici al Vangelo.
3. l'Inno Angelico Οἱ τὰ χερουβὶμ e i canti che lo sostituiscono in varie occasioni, come Νῦν αἱ δυνάμεις τῶν οὐρανῶν (Divina Liturgia dei Doni Presantificati), Τοῦ δείπνου σου τοῦ μυστικοῦ (Giovedi Santo) e Σιγησάτω πᾶσα σὰρξ βροτεία ( Sabato Santo), e
4. l'Inno di Comunione (Koinonikon).
Questi canti saranno oggetto della nostra analisi musicologica successiva, irrobustita da alcune necessarie osservazioni liturgiche.
Il Trisaghion
Questo è il più antico inno introduttivo della Liturgia bizantina. Si cantava all'ingresso del clero e dei fedeli in chiesa per la celebrazione della Divina Liturgia, come ritornello (ephymnion) del Salmo 79° Ὁ ποιμένων τὸν Ἰσραήλ, πρόσχες, ὁ ὁδηγῶν ὡσεὶ πρόβατον τὸν Ἰωσήφ ... Dal momento che dalla metà del 5° secolo fino ad oggi, il Trisaghion occupa un posto centrale nella struttura della liturgia, prima dell'inizio delle Letture, anche all'inizio del regno di Giustiniano è stato sostituito come canto d'ingresso con il canto Ὁ μονογενὴς Υἱός . Il Trisaghion è cantato antifonicamente da due cori di cantori e dai sacerdoti quando vi è una celebrazione comune. Il modo particolare con cui viene cantato nella liturgia bizantina, con la sua ripetizione tripla o quintupla, l'aggiunta della breve dossologia, il canto del finale ἅγιος Ἀθάνατος ἐλέησον ἡμᾶς, l'interpolazione di versetti del salmo 79° di cui sopra (Κύριε, Κύριε , ἐπίβλεψον ἐξ οὐρανοῦ καὶ...) nella liturgia pontificale, il canto alternato dei sacerdoti e dei cantori, o dei seminaristi e dei cori e, infine, la ripetizione del Trisaghion e l'aggiunta dell'invocazione «Δύναμις», o con le estensioni melodiche, i vocalizzi e i kratema, rivela la grandezza della tradizione liturgica e salmodica. Questo modello melodico del Trisaghion ci è stato trasmesso dal 14° secolo, ma al solo scopo di essere cantato nelle Feste del Signore in una Liturgia Pontificale o Patriarcale. È composto nel secondo modo cromatico, che è quello dominante in tutti gli inni fondamentali della Divina Liturgia.
Nella Divina Liturgia di Pasqua e nelle feste in cui, in epoca paleocristiana, veniva amministrato il Battesimo (Natale, Epifania, Pentecoste), il Trisaghion era sostituito dal canto biblico Ὅσοι εἰς Χριστὸν ἐβαπτίσθητε, cantato nel primo modo, perché parla del mistero del Battesimo ed è anche adatto alla liturgia della Risurrezione, dove il carattere musicale si armonizza con lo stile laudativo diatonico, al fine di diffondere splendore sul mistero. Nelle feste della Croce (Esaltazione e Adorazione), il Trisaghion è sostituito dal canto Τὸν Σταυρόν σου προσκυνοῦμεν, Δέσποτα, cantato nel secondo modo.
Dal punto di vista salmodico, l'elaborato canto del Trisaghion è di particolare interesse, in quanto era l'unico inno che offriva ai compositori l'opportunità di evidenziare il loro estro musicale. Dall'epoca bizantina abbiamo ricevuto alcune composizioni kalophoniche di Ἅγιος ὁ Θεός in versione elaborata e kratema alla fine, nelle poesie di John Glykys, John Koukouzelis e Xenos Koronis; dal periodo posteriore alla caduta di Costantinopoli, ricordiamo Manuel Chrysaphes, che ha composto la musica per tutti e tre gli inni. Naturalmente nella tradizione bizantina ci sono anche brevi melodie senza kratema. Nel 17° secolo, Panagiotis Chrysaphes il Giovane ha abbellito il Trisaghion, mentre il sacerdote Balasses, basato sul modulo di Ἅγιος ὁ Θεὸς di Xenos Koronis che rispetta la tradizione salmodica, ha musicato gli inni Τὸν Σταυρόν σου προσκυνοῦμεν, Δέσποτα e Ὅσοι εἰς Χριστὸν ἐβαπτίσθητε con alcune abbreviazioni e senza kratema. Nello stesso periodo, Arsenios di Cydonia ha composto musiche per gli stessi inni, mentre nei manoscritti appare un arrangiamento di Δύναμις Ἅγιος ὁ Θεός dal Monte Athos. Qualche decennio più tardi, Petros Peloponnesios (Ἅγιος ὁ Θεός, Ὅσοι εἰς Χριστὸν e Τὸν Σταυρόν σου προσκυνοῦμεν, Δέσποτα) e Georgios Kres (Ἅγιος ὁ Θεὸς e Ὅσοι εἰς Χριστὸν) hanno presentato le loro semplici e brevi composizioni senza kratema, come testimonianza della pratica vocale del loro tempo.
Il Prokeimenon degli Apostoli
Il Prokeimenon è un breve inno adatto alle feste quotidiane, ai santi o agli eventi celebrati. Inizialmente si trattava di un versetto che precedeva il salmo; veniva cantato in principio dai kanonarchos o dai monophonarios (solisti) e poi, dopo ogni versetto, dai due cori in antifona. Più tardi è stato associato alle Letture, per precederle o seguirle. Nell'antica collezione canonico-liturgica dell'Ordine Apostolico si legge:
«μέσος δ᾿ ὁ ἀναγνώστης ἐφ᾿ ὑψηλοῦ τινος ἐστώς, ἀναγινωσκέτω τὰ Μωσέως καὶ Ἰησοῦ τοῦ Ναυῆ, τὰ τῶν Κριτῶν καὶ τῶν Βασιλειῶν... ἀνὰ δύο δὲ γενομένων ἀναγνωσμάτων, ἕτερός τις τοὺς τοῦ Δαυὶδ ψαλλέτω ὕμνους καὶ ὁ λαὸς τὰ ἀκροστίχια ψαλλέτω. Μετὰ τοῦτο αἱ πράξεις αἱ ἡμέτεραι ἀναγινωσκέσθωσαν καὶ αἱ ἐπιστολαὶ τοῦ Παύλου...»[4] ( il Lettore, stando in piedi al centro e in un luogo elevato, recita testi dell'Antico Testamento ... e tra le due letture qualcun altro canta i Salmi di Davide e il popolo canta l'acrostico. Poi vengono letti gli Atti degli Apostoli e passi dalle Lettere di Paolo).
Il prokeimenon dell'Apostolo era un elemento iniziale di Divina Liturgia, ma dopo l'introduzione di nuovi inni e la conseguente riduzione del tempo liturgico disponibile, è stato abbreviato, semplificandolo: la maggior parte dei versi venivano omessi, ad eccezione di quelli che erano in sintonia con il significato del giorno particolare o della festa. Nel liturgico Libro dell'Apostolo, il prokeimenon consiste nel verso scelto, più un altro versetto salmodico, di solito il primo.
Il prokeimenon veniva cantato, secondo l'uso parrocchiale, con salmi-antifone: il versetto-prokeimenon era recitato all'inizio e poi veniva cantato come ritornello (ephymnion) dopo ogni versetto del salmo. Un esempio significativo è il caso del prokeimenon cantato prima dell'Apostolo al Vespro del Sabato Santo in cui, dopo ogni strofa dell'Inno dei Tre Fanciulli, i fedeli cantano, come un ephymnion, «Τὸν Κύριον ὑμνεῖτε καὶ ὑπερυψοῦτε .. . ». Le fonti musicali manoscritte del 14 ° e 15 ° secolo e i libri della Divina Liturgia raccolgono antologicamente i principali prokeimena, in cui è indicato soltanto il modo e quanto è da cantare durante la settimana: un solo versetto su una musica semplice. Questa impostazione non sofisticata di un solo versetto potrebbe suggerire la recita di tutto il Salmo con il prokeimenon con ephymnion; ma non è registrata nei manoscritti, sia perché la melodia era semplice, sia a motivo dello poco spazio a disposizione dell'amanuense. Nalla pratica attuale i prokeimena degli Apostoli sono recitati, nonostante il fatto che rechino l'indicazione del modo in cui vanno cantati.
Durante la parte salmodica che ha preceduto la mia presentazione, abbiamo cantato il prokeimenon dell'Apostolo, conservando due versi salmodici nell'arrangiamento papadico.
L'Alleluiarion del Vangelo
L'Alleluiarion è il prokeimenon del Vangelo della Divina Liturgia. Era un salmo cantato nel modo specifico citato nelle fonti, seguiva la maniera familiare del canto parrocchiale, cioè un'antifona con triplice Ἀλληλούϊα come ephymnion dopo ogni strofa. Questo canto ha anche lo scopo di coprire il tempo necessario alle azioni e alle preghiere liturgiche che precedono la lettura del Vangelo, cioé l'incensazione, la preghiera liturgica, la benedizione del Diacono e la sua salita al pulpito. La seguente testimonianza è particolarmente illuminante in questo senso: «...ὁ διάκονος· Πρόσχωμεν. Ὁ ἀναγνώστης· ἀλληλούϊα Ψαλμὸς τῷ Δαβίδ. Ὁ διάκονος· Πρόσχωμεν. Καὶ ψάλλεται τὸ ἀλληλουϊάριν, ὑπὸ τοῦ λαοῦ. Ὁ δὲ διάκονος θυμιᾷ τὴν ἁγίαν Τράπεζαν κύκλῳ σταυροειδῶς καὶ ὅλον τὸ Βῆμα. Ὁ δὲ ἱερεὺς εὔχεται καθ’ ἑαυτόν· Τοῦ Κυρίου δεηθῶμεν· Ἔλλαμψον ἐν ταῖς καρδίαις ἡμῶν...καὶ λέγει τὸ Κλῖνον, Κύριε, τὸ οὖς σου, καὶ ἐπάκουσόν μου ἕως τέλους. Ὁ δὲ διάκονος ὡς εἴπωμεν λαβὼν τὸν θυμιατὸν μετὰ τοῦ θυμιάματος πρόσεισι τῷ ἱερεῖ λέγων· Εὐλόγησον δέσποτα τὸ θυμίαμα. Τοῦ δὲ ἱερέως συνήθως εὐλογήσαντος καὶ τὴν εὐχὴν εἰπόντος, καὶ τοῦ διακόνου θυμιάσαντος, τό τε ἱερατεῖον ὅλον, ἅμα δὲ καὶ τὸν ἱερέα καὶ ἀποθεμένου τοῦ θυμιατοῦ ἔρχεται πρὸς τὸν ἱερέα· καὶ ὑποκλίνας αὐτῷ τὴν κεφαλὴν αὐτοῦ... λέγει· Εὐλόγησον, δέσποτα, τὸν εὐαγγελιστὴν τοῦ ἁγίου ἀποστόλου...Ὁ δὲ ἱερεὺς σφραγίζων αὐτὸν καὶ λέγων· Ὁ Θεός, διὰ πρεσβειῶν τοῦ ἁγίου, ἐνδόξου, ἀποστόλου καὶ εὐαγγελιστοῦ...Καὶ ὁ διάκονος εἰπὼν τὸ Ἀμὴν καὶ προσκυνήσας ἀπέρχεται καὶ στὰς ἔμπροσθεν τῆς ἁγίας Τραπέζης μετ’ εὐλαβείας, αἴρει τὸ ἅγιον Εὐαγγέλιον ἐκ τῶν χειρῶν τοῦ ἱερέως καὶ ἐξελθὼν διὰ τῶν ἁγίων Θυρῶν ἀπέρχεται καὶ ἵσταται ἐν τῷ τεταγμένῳ τόπῳ, προπορευομένων δηλονότι τῶν μανουαλίων μετὰ λαμπάδων».[5]
Coprendo il tempo necessario alle azioni liturgiche e alle preghiere prescritte, come detto sopra, venivano cantati interi versi in questo particolare momento della Divina Liturgia. Lo testimonia l'indicazione molto spesso contenuta nei manoscritti musicali: «Μετὰ τὸν Ἀπόστολον ὁ μονοφωνάρης · [ἦχος] alfa Ἀλληλούϊα, ψαλμὸς τῷ Δαβίδ», dove la frase «ψαλμὸς τῷ Δαβὶδ» indica il canto di tutto l'inno insieme all'ephymnion Ἀλληλούϊα, come nelle liturgie parrocchiali. Allo stesso modo, al Vespro del Sabato Santo, dopo l'Apostolo, al posto dell' Alleluiarion, il coro canta: « Ἀνάστα, ὁ Θεός, κρῖνον τὴν γῆν ..., che si ripete dopo ogni versetto del Salmo 81°: «Μετὰ δὲ τὸ εἰπεῖν τὸν ἱερέα· Εἰρήνη σοι, καὶ τὸν διάκονον· Σοφία, ἄρχεται ὁ ἀναγνώστης τὸν στίχον ἦχος βαρύς· Ἀνάστα, ὁ Θεός, κρῖνον τὴν γῆν· οὐ λέγει γὰρ Ἀλληλούϊα, ψαλμὸς τῷ Δαβίδ, καθὼς ἡ συνήθεια, ἀλλ’ εὐθὺς ἄρχεται τοῦ στίχου· Ὁ Θεὸς ἔστη ἐν συναγωγῇ θεῶν, καὶ ὁ ψάλτης· Ἀνάστα, ὁ Θεός...καὶ οἱ λοιποὶ στίχοι τοῦ ψαλμοῦ. Μετὰ τὸ Ἀνάστα ὁ Θεός, εὐαγγέλιον κατὰ Ματθαῖον· Ὀψὲ σαββάτων»[6].
In tempi più recenti, tuttavia, dopo l'introduzione di nuovi inni e l'arricchimento della Liturgia, e soprattutto per il mutamento della cultura musicale dovuto all'emergere della Kalophonia agli inizi del 14° secolo, i versetti del salmo erano limitati a tre o a poco più. Un chiaro esempio è offerto dal codice NLG 2837, scritto nell'anno 1457, foglio 150r: " ἀλληλουϊάριον ψαλλόμενον τῷ ἁγίῳ καὶ μεγάλῳ Σαββάτῳ· Ἀνάστα, ὁ Θεός, κρῖνον τὴν γῆν...στίχος· Ὁ Θεὸς ἔστη ἐν συναγωγῇ θεῶν...στίχος· Ἕως πότε κρίνετε ἀδικίαν...στίχος· Κρίνατε ὀρφανῷ καὶ πτωχῷ... Ὕστερον τὸ τελευταῖον· Ἀνάστα, ὁ Θεός..»[7] Nell'ultimo Ἀνάστα, ὁ Θεὸς, lo sviluppo della composizione musicale è caratterizzato dalla elaborata e sofisticata opera del compositore nell'ambito della melodia kalophonica che assume il melos artistico delle antifone parrocchiali.
La tradizione salmodica bizantina e post-bizantina è conservata nella grande varietà di Alleluiarion in tutti i modi, composti da molti musicisti. Il famoso codice ateniese NLG 2458, il primo libro di musica Papadica, conserva dal fol. 147r al fol. 161R l'Alleluiarion della settimana, senza menzionare il modo, e anche gli Alleluiarion cantati nelle feste principali: qui il modo è indicato. I più importanti compositori di Alleluirion sono stati John Koukouzelis, Niceforo Ethikos e Cristoforo Mystakon. Vari manoscritti conservano anche composizioni di Andreas Sigeros, Manuel Agallianos, John Kladas, il monaco Theodoulos, Manuel Chrysaphes, il sacerdote Balassios, il monaco Pankratios, Cosma di Iviron e molti altri famosi autori bizantini e post-bizantini.
Gli Inni Cherubici [8] (Cherubika)
La frase iniziale, Οἱ τὰ χερουβὶμ, è il titolo di questo inno che viene cantato prima del solenne ingresso della Divina Liturgia. La storia del grande ingresso e degli inni che lo accompagnano è stata accuratamente studiata da Robert F. Taft, professore al Pontificio Istituto Orientale, nella sua opera "Il Grande Ingresso". L'Inno dei Cherubini è stato introdotto nella Divina Liturgia dall'imperatore Giustino II durante il 9° anno del suo regno (573-574), al fine di coprire il tempo necessario al sacerdote per preparare l'ingresso e accompagnare il trasferimento dei doni preziosi. Pochi anni prima dell'introduzione definitiva dell'Inno dei Cherubini, un rapporto del Patriarca Eutychios (552-565) testimonia l'uso, durante il trasferimento dei doni preziosi, del Salmo 23, che contiene il verso Ἄρατε πύλας οἱ ἄρχοντες ὑμῶν καὶ ἐπάρθητε πύλαι αἰώνιοι, καὶ εἰσελεύσεται ὁ βασιλεὺς τῆς δόξης. Questo versetto salmodico è il più antico, è ancora esistente nel Cherubikon, ed è stato cantato antifonicamente per tre volte, con ἀλληλούϊα come ephymnion. L'Inno dei Cherubini è un elemento fisso nella struttura della Divina Liturgia, e questo ha spinto quasi tutti i principali compositori di tutti i tempi a musicarlo più di una volta, in tutti i modi dell'Octoechos bizantino e in vari stili musicali, dal lento e kalophonico, al lento-veloce e breve Papadico. Ricerche pertinenti sull'argomento hanno dimostrato che dalle prime composizioni dell'Inno dei Cherubini della fine del 13° secolo a quelle del 19° secolo, ci sono state più di 1500 composizioni, effettuate da oltre 200 Maestri.
Le prime composizioni bizantine dell'Inno dei Cherubini sono del semplice papadico, con poche ripetizioni del testo poetico, molto rare interpolazioni di kratemata e alcuni abbellimenti nella parte finale, all'ἀλληλούϊα. I compositori rispettosamente seguirono la tradizione salmodica, imitando i modelli più antichi. Dal 15° secolo in poi, vi sono molte e molte composizioni kalophoniche dell'inno, con una struttura a due cori e diversi kratemata. Da quel tempo i musicisti tendono a comporre Cherubika in tutti i modi. Il fiorire dell'arte salmodica nelle regioni che erano libere dalla dominazione turca (Creta, Cipro) ha portato allo sviluppo di importanti tradizioni salmodiche, che tuttavia non erano estranee alla classica innografia bizantina. Nella tradizione post-bizantina dei Cherubika, ci sono composizioni più lente o più veloci, e anche versioni abbreviate delle composizioni antiche più belle. I Cherubika lenti sono spesso ornati con abbellimenti, kratemata e una triplice versione dell' ἀλληλούϊα ephymnion. Diversi compositori post-bizantini, riluttanti ad abbandonare le tradizioni antiche, furono soliti adattare le opere dei loro predecessori bizantini, aggiungendo abbellimenti ai migliori Cherubika di epoca bizantina. È interessante notare che nei secoli 17° e 18° vi è una coerenza impressionante e una omogeneità della tradizione nel comporre Cherubika, garantite dalla relazione da maestro a discepolo che esiste tra i compositori. Dalla metà del 18° secolo i melodisti, preoccupati di adattarsi alla maggiore brevità del tempo liturgico, senza scostarsi dalla tradizione, cominciarono a comporre Cherubika sia lenti, che veloci. Nelle brevi composizioni lo sviluppo musicale dei testi poetici è limitato; vi sono pochi o nessun kratemata, ma l' ἀλληλούϊα è messo in musica.
Secondo la tradizione manoscritta, le prime composizioni dell'Inno dei Cherubini, e degli inni cantati al suo posto, sono del secondo modo e secondo modo plagale.
I geniali compositori dei secoli 13° e 14°, come John Glykys, Niceforo Ethikos, John Koukouzelis, Manuel Agallianos, Xenos Koronis, Agatone Koronis e altri, hanno imposto il modello melodico del Cherubikon e hanno contribuito al suo arricchimento. Antologie manoscritte bizantine hanno conservato diverse composizioni del cosiddetto Cherubikon asmatico, una composizione complessa ed estesa, che molto probabilmente veniva eseguita nelle liturgie ufficiali del Patriarca e dell'Imperatore. Di solito queste composizioni, che erano cantate in alternanza dai solisti (monophonarios) e dal coro, sono conservate in forma anonima, ma in alcuni casi sono attribuiti ai vari compositori di quel tempo, i quali tuttavia condividevano la comune tradizione salmodica. L'evoluzione e lo sviluppo della composizione melodica, contrassegnata dalla propensione di quasi tutti i compositori a scrivere inni Cherubici, hanno portato diversi musicisti alla produzione completa di inni, scritti in tutti i modi, con equilibrio musicale e simmetria, nell'alternanza di intervalli e con notevole varietà di intensità e sonorità.
Nella seconda parte del nostro incontro, avremo la possibilità di ascoltare una composizione più recente, del primo cantore Gregorio, uno dei tre maestri del nuovo metodo di notazione musicale analitica (quest'anno celebriamo i 200 anni dalla sua adozione).
Composta nel breve melos papadico, per essere cantata ogni giorno nella Divina Liturgia, questa composizione è in gran parte preferita dai cantori, ogni volta che vogliono cantare un Cherubikon in terzo modo.
Il Koinonikon
Il Koinonikon (canto di Comunione) è un verso salmodico, di solito con contenuto eucaristico; è cantato in modo da coprire il tempo della Santa Comunione degli officianti e dei fedeli. E' usato per essere cantato in base al vecchio sistema della salmodia parrocchiale, cioè dopo ogni versetto del Salmo viene ripetuto il versetto scelto per il Koinonikon, seguito dall'ephymnion ἀλληλούϊα. Tuttavia è stato anche cantato in modo diverso: i cantori, eseguendo sempre in maniera antifonica, non cantano il versetto scelto, ma soltanto l'ἀλληλούϊα come ephymnion.
Nella Liturgia degli Ordini degli Apostoli, durante la S. Comunione veniva cantato il Salmo 33°: «Καὶ ὁ μὲν ἐπίσκοπος διδότω τὴν προσφοράν, λέγων· Σῶμα Χριστοῦ· καὶ ὁ δεχόμενος λεγέτω· Ἀμήν. Ὁ δὲ διάκονος κατεχέτω τὸ ποτήριον, καὶ ἐπιδιδοὺς λεγέτω· Αἷμα Χριστοῦ, ποτήριον ζωῆς· καὶ ὁ πίνων λεγέτω· Ἀμήν. Ψαλμὸς δὲ λεγέσθω τριακοστὸς τρίτος, ἐν τῷ μεταλαμβάνειν πάντας τοὺς λοιπούς»[9] (E il vescovo deve offrire l'ostia, dicendo «Corpo di Cristo», e il ricevente dire «Amen». E il diacono deve tenere il calice dicendo: «Sangue di Cristo, il calice della vita», e colui che beve il vino deve dire «Amen». Durante il mistero dell'Eucaristia, mentre ognuno riceve la Santa Comunione, va cantato il Salmo 33°).
Il Koinonikon ha seguito un'evoluzione particolare. In un Typikon che conserva l'ordine di San Sabba, leggiamo: «... Κοινωνικόν · Ἐξηγέρθη ὡς ὁ ὑπνῶν Κύριος, καὶ ἀνέστη σώζων ἡμᾶς. Τοῦτο δὲ λέγεται πλειστάκις, ἕως οὗ οἱ ἀδελφοὶ ἅπαντες τῶν ἀχράντων μυστηρίων κοινωνήσωσιν ». (Koinonikon: Ἐξηγέρθη ὡς ὁ ὑπνῶν Κύριος, καὶ ἀνέστη σώζων ἡμᾶς: Questo è cantato più volte in modo da permettere a tutti i fedeli di ricevere la Santa Comunione).
Un'altro Typikon dal monastero della Santissima Madre di Dio la Benefattrice (12° secolo) raccomanda di cantare tre volte il Koinonikon: «Κοινωνικόν · Σῶμα Χριστοῦ μεταλάβετε, ἐκ γ». Questi due ordini rivelano un cambiamento nel tipo e nello stile del canto del Koinonikon. Mentre in passato il Salmo, cui apparteneva il Koinonikon, veniva cantato per intero, più tardi questa maniera veniva gradualmente abbandonata e si cantava soltanto il versetto scelto, ripetendolo per il tempo necessario alla distribuzione della Comunione. Compositori di talento hanno messo in musica questo singolo versetto, dandogli una forma e uno stile melismatico, concentrando l'attenzione in particolare sull'ephymnion ἀλληλούϊα.
Così, fino a metà del 18° secolo, i compositori adornavano musicalmente tre ἀλληλούϊα, interpolando tra loro dei brevi nenanismi, introdotti dal λέγε imperativo e dall'avverbio ripetitivo πάλιν (di nuovo), in modo da riportare i fedeli all'attenzione, dopo il canto del testo poetico, i vocalizzi senza significato e i ripetuti ἀλληλούϊα, preparandoli così spiritualmente a ricevere la Santa Comunione.
Gl'inni di Comunione costituiscono la collezione più estesa di testi per la S. Comunione nel libro di musica di Papadike. Come è stato per la composizione dell'Inno dei Cherubini, la maggior parte dei compositori di tutti i tempi, dall'inizio del 14°secolo ad oggi, ne hanno elaborati. I koinonika di periodo bizantino e post-bizantino sono musicati, mossi da una sensibilità musicale comune. Il testo salmodico offre uno sviluppo melodico semplice e tranquillo, costruito com'è con melodie che usano il più adatto stile lento papadico. Il melodista fa del suo meglio per abbellire con evidenza i molteplici ἀλληλούϊα, introdotti dalle parole esortative λέγε e πάλιν, come pure i nenanismi interpolati. Fin dai tempi del primo cantore Daniele, in parallelo con le antiche impareggiabili composizioni, i compositori hanno iniziato a musicare koinonika lenti e lenti-veloci, con un singolo ἀλληλούϊα alla fine, concentrando i loro sforzi sulla melodia del testo salmodico.
L'ultima composizione nel nostro programma cantato sarà il Koinonikon della Divina Liturgia di Natale, musicato dal famoso sacerdote melodista Balassios (17 ° secolo). Si tratta di una composizione che mostra il talento musicale di Balassios, per l'eccezionale senso del ritmo che trasmette un'impressione maestosa. Dopo il calmo e semplice sviluppo del melos del testo salmodico, la composizione dell'ἀλληλούϊα sale agli acuti delle voci. Tra il canto dei molteplici ἀλληλούϊα vi è l'interpolazione di alcuni vocalizzi e uno splendido teretism, basato principalmente sulla pentafonia di primo modo plagale. Il melos è puramente diatonico, con un po' di coloratura; colpisce per la sua semplicità e la sua spiritualità.
Conclusione
Il concetto di tradizione esiste fin dai primi anni apostolici ed è frequentemente citato nei libri del Nuovo Testamento. L'Apostolo Paolo ammonisce i fedeli di Tessalonica nel modo seguente: «στήκετε καὶ κρατεῖτε τὰς παραδόσεις, ἃς ἐδιδάχθητε, εἴτε διὰ λόγου, εἴτε δι 'ἐπιστολῆς ἡμῶν», esortandoli a evitare eventuali innovazioni estranee, che alterano la fede e la vita della nostra Chiesa. Se questo vale per ogni aspetto della vita ecclesiale, a maggior ragione vale per l'arte salmodica, in quanto costituisce un'espressione fondamentale dell'adorazione di Dio da parte dell'uomo nel corso dei secoli. La Tradizione Salmodica è antica di più di due millenni; è stata trasmessa sia oralmente, come una esperienza di vita da una generazione all'altra, sia in forma scritta, documento di un'altissima cultura musicale. Nel corso della sua evoluzione ci sono stati tentativi di imporre delle innovazioni e delle alterazioni di origine estranea, ma sono state rapidamente rifiutate, perché lontane dalla genuina tradizione. La nobile arte del canto, grazie al contributo di innumerevoli compositori bizantini e post-bizantini che, come abbiamo visto, hanno sempre seguito percorsi tradizionali, ha raggiunto picchi inimmaginabili e ha creato monumenti impareggiabili d'arte. Il suo lungo cammino è pieno di elaborazioni, abbellimenti, ma anche abbreviazioni, piccole variazioni, che tuttavia erano simili alle antiche forme nella loro essenza e nel loro tessuto musicale. I vari canti composti da padri divinamente ispirati la multiforme lode di Dio e dei suoi santi sono di fondamentale importanza mistagogica, come la musica, con la sua ammirevole varietà sonora e le sue incomparabili melodie, riveste i canti il più meravigliosamente possibile, creando così una perfetta atmosfera di preghiera
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[1] Ἰβήρων 1120, φφ. 16α-16β.
[2] Ἰβήρων 1120, φφ. 14β-15α.
[3] Ἀριστείδου Κοϊντιλιανοῦ, Βιβλ. Α΄ IV, σ. 7.
[4] P.G. 1, 728Α.
[5] ΕΒΕ 752, φφ. 20r–21r. Πρβλ. ἐπίσης τοὺς κώδικες ΕΒΕ 765, φ. 34v καὶ ΕΒΕ 767, φφ. 11r-12r.
[6] Αl. Dmitrievskij, Opisanie…III, σ. 650.
[7] Πρβλ. ἐπίσης τὸν κώδικα Κουτλουμουσίου 436, φ. 103r.
[8] Τὸ κείμενο γιὰ τὸν χερουβικὸ ὕμνο προέρχεται ἀπὸ τὴν ἡμετέρα μελέτη, The sacred repertoires: oriental church. The repertory of Byzantine and post-Byzantine ecclesiastical music, Music in the Mediterranean. Modal and classical traditions, vol. I: History, pp. 495-496.
[9] P.G. 1, 1109AB.
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