Cantate al Signore un Canto Nuovo
Uno per Domenica
Da molto tempo cerco di spiegarmi questo fatto: perché i Cantori della Domenica vogliono cambiare continuamente il loro repertorio? "Non facciamo questo canto; l'abbiamo già fatto domenica scorsa!": è una frase che si sente spesso in chiesa.
Se poi allargo lo sguardo sul repertorio, che di anno in anno circola in cantoria, osservo che un canto di chiesa non raggiunge neanche la longevità di un gatto: 15 anni ed è vecchissimo.
Prendiamo, ad esempio, i canti di Mons. Marco Frisina. Fino a pochi anni fa erano quanto di meglio ci fosse da cantare in chiesa. Mons. Frisina, mi dicono, è stato allievo di Ennio Morricone, grande Maestro di musica per film. Ora anche i film fanno presto ad invecchiare: anche i più belli finiscono sugli scaffali delle cineteche, oggetto di studio per le scuole di arte drammatica. Perciò i canti, sorti per quei film e insieme ad essi, hanno lo stesso ritmo di invecchiamento.
È così per tutta la musica composta "al passo dei tempi", seguendo la moda del giorno: come fiore del campo; fiorisce al mattino e alla sera è già secco.
Questa idea di portare in chiesa la musica, che risuona fuori del tempio, non è una malattia dei nostri giorni; è molto antica, direi che è ancestrale, dato che nell'intonazione originale dei Salmi già scrivevano: "Sui torchi...", "Su Macalat...".
Nel Rinascimento si componevano Messe intere su canzoni profane; "L'Homme Armé" era la più in voga.
Al tempo di J. S. Bach era già entrato nel repertorio sacro un canto molto popolare un secolo prima: "Ardo di un grande desiderio" (e non si trattava di desideri celestiali).
Nei secoli seguenti la relazione del canto sacro con l'opera lirica, entrata rumorosamente in voga, divenne peccaminosa. Papa Pio X riuscì a cancellare lo scandaloso adulterio, perché ormai l'opera lirica era diventata una vecchia Signora piena di rughe; le grandi Arie che si dava, e una volta si sentivano per strada, erano già finite nelle aule dei Conservatori e bisognava andare a scuola per impararle.
Oggi la musica che raggiunge gli orecchi della gente è quella dei film, delle sigle televisive, di San Remo, dei centri commerciali: motivetti al ritmo di cik ciak, cik ciak.
Detto questo, è chiaro che i Cantori della Domenica vogliano cambiare sempre il repertorio.
Però!
Se vogliamo che tutta l'Assemblea canti, come sarà possibile che riesca ad assimilare dei cambiamenti così rapidi? Oggi ogni chiesa distribuisce un foglietto, in cui sono le Letture del giorno. In uno di quei foglietti leggo l'indicazione dei canti, adatti alle Letture. Alcuni canti sono al n. 853. Un'Assemblea può avere 853 canti in repertorio? Ma limitiamo a una ventina i canti da eseguire in Quaresima; una ventina in Tempo Pasquale, in modo da non superare un'ottantina di canti, sufficienti per un anno liturgico!
E, soprattutto, perché non includere quei canti che ormai sono fuori moda, perché hanno vinto il tempo? Mi riferisco a canti gregoriani, invano consigliati da Papa Benedetto XVI, a Tu scendi dalle stelle per il Natale, a Cristo risusciti del sec. XII per Pasqua, alle sequenze gregoriane, comprensibilissime anche in italiano.
Mah! Certo, tra non cambiare mai o cambiare ogni domenica, buona la prima.
Armando Pierucci
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